Uno, nessuno e centomila - Pirandello [Riassunto, analisi e commento]

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    UNO, NESSUNO E CENTOMILA







    È questa la storia di un personaggio che fa una scoperta simile a quella di Mattia, ma con un esito differente. Il protagonista è Vitangelo Mostarda, chiamato dalla moglie Gengè (il simbolo della maschera è presente qui anche nel soprannome).
    Tutto parte quando Vitangelo è di fronte allo specchio e la moglie Dida gli fa notare che gli pende il naso a destra; così si “squarcia il teatrino”, si trova inserito nel gioco delle maschere. Scopre così di credere di essere uno, ma che in realtà quell’uno non c’è perché è nessuno e scopre anche di essere centomila, che sono gli sguardi con cui gli altri lo guardano.
    Non riconosce più se stesso, né suoi amici, né la moglie, né la sua condizione.
    La sua prima reazione è una sostanziale rabbia, però cerca anche di scagliarsi contro le maschere altrui e quindi il suo primo obiettivo è di distruggere le immagini che gli altri hanno di lui.
    Vitangelo è il prototipo dell’inetto, non ha mai fatto nulla, vive di rendita perché il padre aveva una banca, che lui formalmente manda avanti, ma di cui se ne occupano la moglie e degli “amici” che sono i direttori e che se ne approfittano. Differentemente da Mattia finora s’era trovato bene in questa situazione.
    Dopo il “fatto” pretenderebbe di mettere le mani in banca, non si accontenta più di un ruolo di paglia. Così per dimostrare di non essere un usuraio, e cioè per togliere una maschera, sfratta l’artista Marco Didio dalla catapecchia di sua proprietà, però poi gli regala un appartamento enorme.
    Gli amici decidono così che è pazzo e cercano di interdirlo e levargli così la gestione della banca.
    Pirandello, in riferimento a Marco Didio, getta ironia sulla sua arte mediocre, la quale è simbolo dell’arte contemporanea che è inutile e fittizia.
    La società stringe una trappola nei confronti di Gengè: la moglie e gli amici cercano di interdirlo come pazzo, poiché la società va avanti con i propri stereotipi.
    Nella prima parte il romanzo è quasi dissolto nella sua architettura (è anticipazione del romanzo novecentesco) poiché rappresenta il rovello interiore di Mattia.
    Nella seconda parte il romanzo prende un’artificiosa costruzione narrativa: è una trama convulsa, con particolari non chiaribili sul piano logico. È questa la parodia del romanzo ottocentesco.
    Entra poi in gioco la figura di Annarosa, un’amica della moglie; una donna scialba ed eterea, semplice e buona, ma è un’inetta. Lei aiuta Vitangelo, così lui le rovescia addosso le sue conclusioni della vita, perché sente il bisogno di autenticità. Così lei lo invita ad un convento di suore, dove si trova sua zia, perché in quel giorno ci dovrebbe andare il vescovo, che lo può aiutare a sconfiggere la moglie per la questione della banca.
    C’è però un incidente: mentre lei parla con Vitangelo le sfugge la pistola dalla borsetta e si ferisce da un piede (è questo un particolare gratuito e incomprensibile, riportato con naturalezza; quello che nella narrativa novecentesca verrà chiamato “atto gratuito”). Per cui l’incontro con il vescovo non avviene, ma avverrà più tardi nel vescovado, dove il vescovo Monsignor Partanna si avvale dell’aiuto del canonico Sclepis, un uomo senza scrupoli, il quale propone una forma di mediazione: Vitangelo si impegna a versare soldi alla Chiesa e loro glieli fanno riavere. Inoltre Gengè deve costruire un ospizio per i poveri.
    Pirandello dissolve l’edificio della Chiesa e corrode la fede e la chiesa come istituzione.
    In seguito Vitangelo va a trovare Annarosa all’ospedale: si avvicina a baciarla perché improvvisamente sente rinascere in lui delle sensazioni di maschio; lei gli spara con la rivoltella che teneva sotto il cuscino.
    Alla fine lui scagiona Annarosa e si presenta al tribunale vestito con la casacca degli uomini dello ospizio, dove finisce la sua vita; i giudici gli credono.
    Nella conclusione Vitangelo ha sperimentato il vuoto e ha deciso di accettare la condizione di personaggio fuori: “vive non vivendo”, cerca di accettare di non essere nessuno, rifiutando anche il proprio nome, il suo ideale diviene abbandonarsi al flusso della vita.
    La sua risposta è positiva rispetto a quella di Mattia, lui accetta di non essere.



    Lo stile: Lo scompaginamento dell’ordine diegetico per quanto riguarda lo stile è in stretta correlazione e sintonia con la “dissoluzione dell’io” a livello contenutistico. L’andamento stilistico appare infatti involuto e franto, organizzato in un monologo ricco di interrogazioni ed esclamazioni, proprio per affermare l’impossibilità di una conoscenza organica e coerente della persona e del mondo stesso. Sintatticamente la struttura del testo è abbastanza semplice, come anche il lessico, prevalentemente quotidiano. Tutta l’opera è pervasa di una sottile e tagliente ironia; Pirandello infatti sfrutta un amaro umorismo, non finalizzato a suscitare il riso ma piuttosto ad operare una crudele “scomposizione della vita”.

    ommento: Questa lettura mi ha profondamente coinvolta e affascinata; infatti pur non essendo un romanzo appassionante, credo che l’autore abbia colto delle profonde verità che contraddistinguono l’esistenza umana e normalmente restano celate ai nostri occhi. Nella vita quotidiana indossiamo continuamente delle diverse maschere a seconda delle circostanze; modifichiamo noi stessi, il nostro comportamento, nascondiamo degli aspetti del nostro carattere per adattarci agli altri a tal punto da non essere più in grado di riconoscere ed affermare la nostra vera natura. La società ci spinge sempre più a mescolare l’essere con l’apparire fino a non poterli più distinguere. Vitangelo Mosca rappresenta colui che, stanco di indossare sempre la maschera più consona e di recitare la parte prevista dal copione, si ferma a riflettere e ad osservare con sguardo più critico.
    Egli cerca di distaccarsi dalla frenesia quotidiana della massa e di strappare le diverse maschere che ci vengono imposte.
    Il risultato a cui Moscarda approda è l’alienazione, l’estraniazione da sé, poiché forse una realtà univoca ed oggettiva non esiste, bensì esistono tante, centomila realtà soggettive e quindi, vale a dire, nessuna.


    studenti.it
     
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